giovedì 17 marzo 2011

Intervento per la celebrazione dei 150 anni dell'Unità d'Italia - Boves, 16 marzo 2011

Dagli atri muscosi dai fori cadenti,
dai boschi, dall'arse fucine stridenti,
dai solchi bagnati di servo sudor,
un volgo disperso repente si desta;
intende l'orecchio, solleva la testa
percosso da novo crescente rumor.

(Alessandro Manzoni, Adelchi)

Fratelli e sorelle d'Italia,
siamo qui oggi per celebrare i 150 anni della nostra nazione. In questo giorno di festa, però, è un grande dubbio che mi lacera e non mi permette di unirmi ai festeggiamenti come italiano e cittadino.
Il dubbio che questa Unità d'Italia, conquistata col sangue in nome di un sogno, sia naufragata per colpa di male oscuro che attanaglia il nostro paese: il particolarismo e l'individualismo.
Guardiamoci intorno: io vedo un paese diviso, frantumato in tante realtà che lottano le une contro le altre, abitato da persone che non vedono riconosciuto il loro diritto di cittadinanza: donne, gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, anziani, fedeli di religioni diverse da quella cattolica, poveri, disabili, persone di diverse etnie e status sociale.
Io vedo un paese che nel nome della paura del diverso ha eretto muri e barriere, ha fondato partiti, ha creato mostri sociali coi quali spaventare i propri figli.
Io vedo un paese che fu unito in nome della laicità inchinarsi davanti ai dettami di uno stato estero.
Io vedo un paese dove i diritti dei lavoratori, degli immigrati, e più in generale delle persone vengono calpestati sulla base di dividendi, di profitti, di interessi di pochi a scapito di molti.
Io vedo un paese che ha perso la sua capacità di farsi motore culturale, che ha abbandonato gli insegnanti delle scuole pubbliche e gli studenti al loro destino, che ha innalzato il vessillo del Qui ed Ora al posto di Adesso e Nel Futuro.
Per questo, oggi, è per me quasi impossibile unirmi ai festeggiamenti dell'Unità d'Italia, non fosse però che tengo vivo in me il ricordo.
Il ricordo di un momento che ha attraversato questo paese, il ricordo di un sogno che ci ha permesso di diventare cittadini di questa giovane nazione.
Il sogno di uno stato dove l'uguaglianza sostanziale, la laicità, la dignità di ogni singola persona, il diritto al lavoro e ad un'istruzione potessero essere valori condivisi e l'eredità di cui andare fieri.

Questo sogno io festeggio oggi, e chiudo condividendo con voi le parole di Camillo Benso conte di Cavour:

« La storia di tutti i tempi prova che nessun popolo può raggiungere un alto grado di intelligenza e di moralità senza che il sentimento della sua nazionalità sia fortemente sviluppato: in un popolo che non può essere fiero della sua nazionalità il sentimento della dignità personale esisterà solo eccezionalmente in alcuni individui privilegiati. Le classi numerose che occupano le posizioni più umili della sfera sociale hanno bisogno di sentirsi grandi dal punto di vista nazionale per acquistare la coscienza della propria dignità».

Fratelli e sorelle d'Italia, ritroviamo oggi la dignità e la fierezza di essere italiani, e non permettiamo più che qualcuno possa portarcela via.

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